Sì allo stralcio dell’Iva nel Sovraindebitamento

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Corte Costituzionale sentenza n. 245/2019>> Sentenza in PDF

Commento sentenza Corte Costituzionale n. 245 del 29.11.2019

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 245 pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 29 novembre 2019, ha posto fine alla annosa disparità di trattamento, in termini di falcidia di Iva, tra i soggetti fallibili (determinati ai sensi dell’art. 1 legge fallimentare di cui al R.D. n. 267/1942) e i soggetti non fallibili, cioè coloro che sono assoggettati alle procedure di composizione della crisi per sovraindebitamento, anche dette procedure concorsuali minori, introdotte dalla Legge n. 3/2012.

Sicché, diventa possibile stralciare parte del debito erariale riconducibile ad Iva nell’ambito di una procedura concorsuale minore, alla quale accedono le persone fisiche, i professionisti, le società tra professionisti, i consumatori, i soci illimitatamente responsabili per debiti personali, le ditte individuali e le società commerciali sotto soglia fallimentare (esemplificazione dei soggetti non fallibili).

Vi è da dire che i soggetti invece fallibili, a seguito dell’iter evolutivo dell’art. 182 ter della legge fallimentare sulla transazione fiscale nell’ambito del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione (grazie alla novella introdotta legge di Bilancio 2017 ovvero L. n. 232/2016) già da tempo beneficiano della possibilità di falcidiare Iva e ritenute operate e non versate in seno ad una procedura concorsuale maggiore.

Diversamente, i soggetti non fallibili restavano ancorati all’art. 7 comma 1 terzo periodo della Legge n. 3/2012, il quale espressamente stabiliva, per Iva e ritenute operate e non versate, esclusivamente la possibilità di dilazione e non di falcidia.

Tuttavia, non si può negare che, anche questa volta (come lo è stato per l’evoluzione dell’art. 182 ter della legge fallimentare in tema di transazione fiscale per i soggetti fallibili), la temperie che ha portato a tale profondo mutamento della disciplina per i soggetti non fallibili, sia figlia di un orientamento giurisprudenziale oltranzista da un lato, e di una presa d’atto da parte del legislatore dall’altro.

Difatti la sentenza della Corte Costituzionale n. 245/2019 anticipa la riforma già prevista dal D. Lgs. n. 14/2019, ovvero dal nuovo Codice della Crisi d’impresa e dell’Insolvenza, in vigore dal 15 agosto 2020, il quale ha espunto dalla disciplina del sovraindebitamento il divieto di falcidia Iva e ritenute operate e non versate.

Già prima della pubblicazione del nuovo Codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza, alcuni Tribunali avevano concesso, nell’ambito della composizione della crisi per sovraindebitamento, la possibilità di sottoporre a falcidia anche Iva e ritenute operate e non versate (Tribunale di Pistoia del 26 aprile 2017, Tribunale di Torino del 7 agosto 2017, Tribunale di Pescara del 22 ottobre 2017, Tribunale di La Spezia del 10 settembre 2018) sulla scorta della nota sentenza 7 aprile 2016 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che, pur confermando il ruolo centrale delle risorse proprie dell’Unione Europea, tra cui l’Iva, ne ha contemplato la non integrale esazione, da parte dello Stato membro, nell’ambito di una procedura concorsuale corredata da stringenti requisiti e condizioni.

A dare impulso alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 245/2019 è stato il Tribunale di Udine (che già aveva rimesso la questione della falcidia Iva nelle procedure concorsuali alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha poi emesso la nota sentenza 7 aprile 2016 sopra richiamata), con ordinanza del 14 maggio 2018, per violazione, da parte dell’art. 7 della L. n. 3/2012, degli artt. 3 e 97 della Costituzione della Repubblica.

Vi sarebbe, a parere del Tribunale di Udine, la non manifesta infondatezza della violazione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, in quanto l’art. 7 comma 1 terzo periodo della L. n. 3/2012, impedendo la falcidia Iva, tratterebbe in modo disuguale soggetti che si trovano in condizioni analoghe, così violando il principio di uguaglianza, posto che prevede un trattamento in pejus per i soggetti sotto soglia fallimentare assoggettabili alla L. n. 3/2012, rispetto ai soggetti che, in base ai requisiti di cui all’art. 1 L.F., accedono al riformato art. 182 ter “Trattamento dei crediti tributari e contributivi”, che consente il pagamento parziale di Iva e ritenute operate e non versate nell’ambito del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione.

Vi sarebbe inoltre, a parere del Tribunale di Udine, la non manifesta infondatezza della violazione del principio di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione, in quanto l’art. 7 comma 1 terzo periodo della L. n. 3/2012 – che stabilisce l’inammissibilità dell’accordo o del piano che non preveda il pagamento integrale dell’Iva e delle ritenute operate e non versate – priverebbe la Pubblica Amministrazione del potere di valutare autonomamente ed in concreto se la proposta di composizione della crisi sia in grado di soddisfare la pretesa erariale in misura pari o superiore al ricavato ottenibile dall’alternativa liquidatoria.

Con la sentenza n. 245/2019, la Corte Costituzionale dichiara, dunque, l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 comma 1 terzo periodo della Legge n. 3/2012 limitatamente alle parole “all’imposta sul valore aggiunto”, contemplandone l’ablazione.

E’ doveroso segnalare, peraltro, che la suddetta ablazione non concerne espressamente anche la locuzione “alle ritenute operate e non versate”.

La Corte Costituzionale puntualmente rileva che l’attuale differenza di disciplina che caratterizza il concordato preventivo da un lato, e l’accordo di composizione della crisi del debitore non fallibile dall’altro, dà luogo ad una ingiustificata e irragionevole disparità di trattamento, tale da concretare l’effettiva violazione dell’art. 3 della Costituzione.

In particolare, l’iter evolutivo dell’art. 182 ter della legge fallimentare, innovando solo la transazione fiscale in sede di concordato preventivo e accordo di ristrutturazione dei debiti, ha determinato quella discrasia di sistema che, in origine, il legislatore della Legge n. 3/2012 aveva proprio inteso evitare, ricostruendo il contenuto dell’art. 7 comma 1 terzo periodo – dettato per il sovraindebitamento del debitore non fallibile – in termini sostanzialmente riproduttivi della disciplina all’epoca vigente, dettata dall’art. 182 ter della legge fallimentare (la legge n. 3 è del 2012; l’art. 182 ter novellato è entrato in vigore il 1° gennaio 2017).

La Corte riconosce, pertanto, che non vi è motivo per trattare diversamente, sotto questo profilo, i debitori non fallibili, legittimati ad avvalersi delle procedure di composizione della crisi per sovraindebitamento e i debitori fallibili, legittimati ad avvalersi delle procedure concorsuali maggiori.

La ragione di fondo che giustifica la falcidia dell’Iva, al pari di quella di tutte le altre poste di credito privilegiate e tributarie, non può porsi in termini differenziati.

E ciò a prescindere dal tipo di attività esercitata, imprenditoriale o no, nonché a prescindere dalle dimensioni di tale attività ed all’incidenza economica che ad esse si correla, trattandosi di elementi indifferenti rispetto all’obiettivo perseguito di definizione della crisi.

In precedenza, la ratio sottesa al divieto di falcidia dell’Iva veniva ascritta alla ritenuta indisponibilità del relativo gettito da parte dello stato membro, imposta dal diritto dell’Unione europea.

Tuttavia, questa ratio è stata decisamente posta in discussione dalla nota sentenza 7 aprile 2016 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale ha chiarito che la normativa europea non impone sempre e comunque l’integrale riscossione della risorsa.

Sicché, anche nell’accordo di composizione della crisi per sovraindebitamento, perde coerenza quel giudizio di intangibilità del credito IVA che, in origine, aveva rappresentato la ratio del divieto di falcidia della relativa pretesa tributaria.

Può affermarsi il merito, ancora una volta, del Tribunale di Udine che, con l’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale del 14 maggio 2018, ha dato impulso alla sentenza in commento.

E’ peculiare il fatto che il Tribunale di Udine, con le motivazioni sottese alla rimessione alla Corte Costituzionale, individua delle ragioni a fondamento della falcidiabilità dell’Iva nel sovraindebitamento piuttosto diverse da quelle individuate dalle precedenti sentenze di merito che avevano disapplicato l’art. 7 comma 1 terzo peiodo della Legge n. 3/2012, in favore della falcidia di Iva e ritenute operate e non versate, sulla base della nota sentenza 7 aprile 2016 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Il Tribunale di Torino, infatti, con la sentenza del 7 agosto 2017, aveva ritenuto ammissibile la falcidia Iva nel sovraindebitamento sul presupposto che il gettito Iva, essendo risorsa propria dell’Unione Europea, fosse di competenza dell’ordinamento dell’Unione, e conseguentemente la pubblica amministrazione e i giudici nazionali potessero “disapplicare” la norma interna (art. 7 L. n. 3/2012) per applicare, con modalità self executive, il principio di diritto espresso dalla Corte di Giustizia, che ha circostanziato l’applicabilità della Direttiva Iva, consentendo agli stati membri una certa libertà nell’individuazione dei mezzi a disposizione per garantire il gettito, purché siano rispettati determinati parametri.

Il Tribunale di Pistoia, invece, con la sentenza del 26 aprile 2017, aveva ritenuto ammissibile la falcidia Iva nel sovraindebitamento sul presupposto che il divieto di falcidia Iva di cui all’art. 7 comma 1 terzo periodo della L. n. 3/2012 facesse implicitamente salva l’ipotesi che la proposta prevedesse invece un trattamento migliore rispetto a quello consentito dall’alternativa liquidatoria, esprimendo così una regola generale rispetto alla quale l’eccezione deve ritenersi non esclusa, ma implicita; e ciò stante l’introduzione del principio di diritto da parte della Corte di Giustizia UE con la sentenza del 7 aprile 2016.

Il Tribunale di Udine, invece, peculiarmente ritiene che la questione del divieto di falcidia dell’Iva nel sovraindebitamento sia, in primis, un fatto squisitamente nazionale, e che quindi “la vicenda deve essere risolta soltanto nel quadro dell’ordinamento interno”.

Sicché nel provvedimento di rimessione vengono evidenziate le seguenti circostanze: (i)oggi, ai soggetti fallibili di cui all’art. 1 della L.F. è consentito prevedere una soddisfazione non integrale dei crediti privilegiati nell’ambito del concordato preventivo; (ii) idem per chi accede agli accordi di ristrutturazione; (iii) pertanto, la regola della falcidiabilità dei crediti privilegiati, purché pagati in misura corrispondente al valore ricavabile, in via di esecuzione forzata, dai beni destinati per legge alla loro soddisfazione, è ormai comune in tutte le procedure concorsuali; (iv) tuttavia coloro che hanno a disposizione solamente l’accesso al piano del consumatore e all’accordo con i creditori nelle procedure di composizione della crisi per sovraindebitamento debbono pagare comunque per l’intero tale categoria di crediti privilegiati (ivi compresi tributi UE, Iva e ritenute operate e non versate).

Per concludere, non può che esser salutata con favore la sentenza n. 245/2019 della Corte Costituzionale, che consente, su un piano pratico, di anticipare la possibilità di falcidia Iva, anche per i soggetti non fallibili, dalla data della pubblicazione stessa della sentenza sino al 15 agosto 2020, allorquando la possibilità di falcidia dell’Iva e delle ritenute operate e non versate diviene comunque pienamente operante anche nelle procedure concorsuali minori, ovvero nella composizione della crisi per sovraindebitamento, ai sensi del D. Lgs n. 14/2019 ovvero ai sensi del nuovo Codice della Crisi di impresa  e dell’insolvenza.

Milano, 23 gennaio 2020.

Avv. Francesca Monica Cocco

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